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SCIOPERO
Forma organizzata di astensione dal lavoro di uno o più gruppi di lavoratori divenuta ricorrente per i lavoratori salariati dopo la rivoluzione industriale. Fin dall'Ottocento fu utilizzato, nei paesi in via d'industrializzazione, oltre che per rivendicazioni di tipo salariale e normativo, anche per rivendicazioni di tipo politico, prima fra tutte quella del diritto di voto.

LA CONFLITTUALITÁ INDUSTRIALE.
La comparsa della conflittualità tra padroni e operai fu accolta dagli stati ottocenteschi con un allarme che andò crescendo lungo tutto il secolo. La persecuzione dello sciopero fu condotta con strumenti legislativi che lo identificavano come un reato di cospirazione tanto in Gran Bretagna (Combination Acts dal 1799 al 1824) quanto in Francia, dove la legge Le Chapelier del 1791 fu in tal senso recepita dal codice napoleonico. In Gran Bretagna, dove agli inizi del secolo si verificarono forme di lotta che comprendevano anche la distruzione delle macchine (vedi luddismo), il diritto di coalizione dei lavoratori fu riconosciuto nel 1859 a seguito di lotte generalizzate che iniziarono con uno sciopero di nove mesi degli edili. Nel 1867 il Master and Servant Act abolì la pena del carcere per la deroga ai patti di lavoro mediante sciopero. In Francia il movimento degli scioperi accompagnò le lotte contro il regime della Restaurazione; ma una fase nuova di conflittualità si aprì con il trionfo della borghesia liberale nella rivoluzione di luglio del 1830. Alle rivolte degli operai della seta di Lione negli anni trenta seguirono lotte molto intense tra il 1844 e il 1848; dopo l'instaurazione del Secondo impero, la crisi economica del 1857 provocò una serie di agitazioni che si prolungarono fino al 1862. Come conseguenza, nel 1864, fu riconosciuto per legge il diritto di coalizione per il mantenimento dei livelli salariali. Successivamente i momenti di maggiore conflittualità coincisero con gli scioperi dei minatori del 1869 e del 1886, per aumenti salariali e la riduzione della giornata di lavoro. Nel corso di queste lotte il comportamento delle autorità fu duramente repressivo, con il ricorso all'esercito per piegare gli scioperanti. Il diritto del lavoro non sembrava esistere in Francia, come in genere in tutti gli stati dell'Ottocento; esiste un diritto del lavoro d'origine privata, a malapena corretto dal diritto statale e dall'atteggiamento protettore dello stato che rafforzava d'altra parte la concezione che equiparava il lavoratore a una macchina. La fonte del diritto erano le norme consuetudinarie: quelle ufficiali (riconosciute dai tribunali) e quelle ufficiose, che promanavano da una sorta di diritto operaio spontaneo. Il controllo della manodopera permaneva molto forte, attraverso strumenti come il libretto di lavoro, che doveva garantire l'affidabilità del lavoratore. Anche la legge Waldeck-Rousseau del 1884 in Francia non riconosceva il diritto di sciopero ma si limitava a sostituire il delitto di coalizione con una tutela sul piano penale, non su quello civile. Negli stati tedeschi gli anni trenta dell'Ottocento furono punteggiati da rivolte contadine. Con lo sciopero dei tipografi di Lipsia (1838) e le lotte dei tessitori della Slesia il problema degli scioperi operai si impose all'attenzione dei governanti e nel 1845 una "legge industriale" sanzionò il divieto di sciopero e di coalizione. Solo dopo oltre vent'anni, nel 1869, un'ordinanza industriale riconobbe, con la libertà del commercio e dell'industria, anche il diritto di sciopero. Negli Stati Uniti gli scioperi e le prime organizzazioni sindacali comparvero nella prima metà del secolo nelle città della costa orientale (Filadelfia, New York, Boston, Baltimora). A Boston nel 1844 fu avanzata per la prima volta la rivendicazione della giornata lavorativa di otto ore. Nella seconda metà dell'Ottocento e nel primo quindicennio del Novecento l'attività rivendicativa e gli scioperi si intensificarono in tutti i paesi industriali benché, a eccezione del Canada, nessuno di essi riconoscesse espressamente sul piano normativo la libertà di sciopero. Particolare significato assunse in questo contesto la ricorrenza del Primo maggio, festa dei lavoratori proclamata per la prima volta nel 1890, in cui l'astensione generalizzata dal lavoro ebbe dimensione internazionale.

ARMA SOCIALE E POLITICA. Alla fine dell'Ottocento prese piede in Francia l'idea dello sciopero generale sostenuta da A. Briand e F. Pelloutier nel 1892-1893 (vedi sindacalismo rivoluzionario) e adottata come strumento di lotta dal congresso di Amiens della Cgt nel 1906. Praticato dal movimento operaio in diversi paesi, avrebbe dovuto avere la sua più completa applicazione di fronte allo scoppio del conflitto mondiale, ma abortì nella crisi della seconda Internazionale. L'entrata dell'Italia nel processo di industrializzazione fu accompagnata da una mobilitazione proletaria che si sviluppò non solo nei centri manifatturieri, ma anche nelle campagne (scioperi agricoli della valle padana nel 1884, degli edili nel 1887 e operai del 1888; sciopero dei metallurgici nel 1891, Fasci siciliani nel 1889-1894). Dal 1889 il codice Zanardelli affermò la non punibilità dello sciopero pacifico quale strumento normale delle lotte nel mondo del lavoro. Con il nuovo secolo la dinamica degli scioperi si intensificò (lotte bracciantili del 1902-1904), culminando nello sciopero generale del 1904. Nel 1911 lo sciopero generale politico fu adottato dal Partito socialista come estremo mezzo di lotta contro la guerra italo-turca (1911). Anche in Italia fallì tuttavia lo sciopero generale contro la guerra mondiale, nel corso della quale prevalse l'atteggiamento repressivo delle autorità come in tutti gli stati europei. Ciò non impedì in realtà diversi episodi di rifiuto del lavoro (in Italia, scioperi di Torino del 1917), ma essi vennero tacitati anche per l'atteggiamento collaborazionista della maggioranza dei sindacati. Alla fine della guerra la spinta rivoluzionaria proveniente sia dalle tensioni accumulate sia dalla rivoluzione d'ottobre esplose in una ripresa acutissima della conflittualità sociale: in Gran Bretagna la frequenza degli scioperi fu rilevante fino al 1924 e toccò il suo punto più alto nello sciopero generale del 1926, il Great Strike, di solidarietà con i minatori, fronteggiato e contenuto con abilità dal governo, che ne uscì vincitore. Due anni più tardi poté così essere approvato il Trade Disputes Act che vietava gli scioperi di solidarietà, abolito solo nel 1945 dal governo laburista. Gli scioperi di stampo politico del primo biennio postbellico lasciarono il posto a una fitta conflittualità negli anni venti e, ancor più, dopo la crisi del 1929. In Italia dal 1925 e in Germania dopo il 1933 lo sciopero fu messo fuori legge dai regimi fascisti, mentre in Francia l'avvento del Fronte popolare (1936) fu sostenuto e accompagnato da una grande mobilitazione operaia che portò anche al riconoscimento della contrattazione collettiva (accordi di palazzo Matignon); negli Stati Uniti il New Deal incentivò le rivendicazioni collettive. Dopo la Seconda guerra mondiale lo sciopero assunse, nelle società industriali avanzate, due forme: le agitazioni promosse dalle organizzazioni sindacali riconosciute su temi contrattuali, occupazionali, dei diritti del lavoratore; e quelle nascenti da esigenze di gruppi più o meno estesi sul posto di lavoro. Tra gli scioperi organizzati dai sindacati assunsero maggiore peso, nel quadro di una funzione sostanzialmente riconosciuta, quelli indirizzati ai poteri pubblici perché intervenissero con decisioni favorevoli ai lavoratori e quelli dimostrativi o simbolici: così gli scioperi promossi, soprattutto nel periodo più acuto della guerra fredda (1947-1960) in Italia e in Francia, dalle organizzazioni di ispirazione socialcomunista, che unirono rivendicazioni politiche a quelle di stampo economico-normativo. A ciò corrispondeva però l'atteggiamento tenuto dai sindacati per frenare le rivendicazioni dei lavoratori al fine di sostenere un governo amico (come avvenne nei confronti del governo laburista in Inghilterra tra il 1945 e il 1951: austerity). Una frattura di notevole rilevanza fu costituita dal ciclo di lotte 1968-1974 che toccò, pur in misura differente, tutti i paesi industrializzati e che fece emergere necessità e richieste di componenti spesso neglette dalle politiche sia dei sindacati sia delle organizzazioni politiche e delle istituzioni. Quell'ondata di scioperi mise in luce esigenze di nuovi rapporti di rappresentanza e di democrazia in fabbrica. Negli stessi anni emersero, accanto ai tradizionali protagonisti operai, anche nuovi soggetti del conflitto di lavoro: gli addetti del terziario e soprattutto della pubblica amministrazione e dei servizi. Ciò complicò il quadro degli scioperi nelle società industriali avanzate, in quanto si verificò una terziarizzazione del conflitto anche nel senso che gli addetti al terziario chiamavano in causa, come destinatari del danno dello sciopero, non i detentori del potere (economico o politico), ma gli utenti dei pubblici servizi. Questa nuova realtà apriva complessi e delicati problemi in merito alla regolamentazione e alla gestione dello sciopero nei paesi industriali avanzati.

L. Ganapini


E. Dolléans, Storia del movimento operaio 1830-1952, Sansoni, Firenze 1952; G.P. Cella, Il movimento degli scioperi nel XX secolo, Il Mulino, Bologna 1979.
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